lunedì 17 febbraio 2014


Il “Club 27” del rock: maledizione, coincidenze o operazione mediatica?


Le maledizioni non esistono, ha detto qualcuno, e questa non sappiamo neanche da chi sia stata lanciata, ma si tratta comunque di "qualcosa" che sembra proprio esistere, sotto gli occhi di tutti, con una lunga serie di vittime che non accenna ad arrestarsi. Si tratta della “maledizione dei 27 anni” e di tutte le coincidenze e fatti strani che si trascinano con essa.

Tutto ebbe inizio domenica 17 gennaio 1892. Sul Tropico del Capricorno, a San Paolo del Brasile, il pianista, compositore, direttore d’orchestra Alexandre Levy moriva all’età di ventisette anni. Pioniere assoluto dei suoi tempi per aver esplorato la fusione tra musica classica e folk popolare brasiliano, il maestro paulista lasciò un vuoto che i suoi concittadini cercarono di riempire subito bandendo un prestigioso premio a lui intitolato. Con la morte di Levy nel mondo apriva i battenti un club davvero selettivo.

Vediamo.
Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain sono stati i più grandi artisti del rock che se ne sono andati a soli 27 anni. Troppo famosi gli scomparsi e, a parte Cobain, soggetti attivi e impegnati nel fermento post sessantotto. Se ne occupò anche la Cia, che indagò sulle morti e cercò improbabili prove dell'intrigo o del complotto. Complotto o meno che fosse, oltre che per le comuni radici ribelli, Hendrix, Joplin e Morrison furono affiancati anche per altro. Ciò che apparve evidente, persino ai più scettici osservatori, furono alcune coincidenze quanto meno inquietanti. Coincidenze che, per di più, riportavano anche alla dipartita di un quarto rocker, il chitarrista e cofondatore dei Rolling Stones, Brian Jones, spirato esattamente due anni prima del leader dei Doors. Dal complotto alla maledizione il passo fu brevissimo.
Cominciamo a vedere le prime quattro morti. Poi, negli anni successivi, ce ne furono altre, molte altre, delle quali parleremo più avanti.

Brian Jones (foto nel pubblico dominio)

Intorno alla mezzanotte tra il 2 e il 3 luglio 1969, nella sua fattoria dell’East Sussex, Brian Jones fu trovato dalla sua ragazza svedese immobile sul fondo della piscina. L’inglese Jones fu tra i fondatori dei Rolling Stones. Non è chiaro se l’artista fosse già morto quando il corpo fu recuperato. Di sicuro lo era all’arrivo del personale medico. Sul referto dell’autopsia alla voce causa, il coroner scrisse death by misadventure, morte per incidente; di seguito annotò con diligenza che il fegato e il cuore del chitarrista erano pesantemente compromessi dall’abuso di alcol e droghe.
La morte di Brian Jones fu subito avvolta dal mistero. Testimonianze, smentite, ammissioni, confessioni di alcune persone presenti nella notte della morte fecero calare un’ombra di mistero sulla morte del cantante. La vicenda non fu mai pienamente chiarita.
 
Jimi Hendrix (fonte e24.se da Wikimedia.org, foto nel pubblico dominio)

Samarkand Hotel fu la residenza londinese dove James Marshall “Jimi” Hendrix, trascorse i suoi ultimi giorni di vita. Nelle prime ore del 18 settembre 1970, il chitarrista mancino ispirato da Dio moriva affogato nel proprio vomito causato da un cocktail di alcol e tranquillanti. Mentre la causa della morte non è stata mai smentita, diversi sono stati invece i momenti in cui il decesso è stato collocato temporalmente: nottetempo nell’hotel, come asserito dalla polizia e dal personale dell’ambulanza che accorsero sul posto, oppure durante il trasporto in ospedale, forse per un infelice posizionamento della testa del cantante, secondo una delle versioni attribuite a Monika Dannemann, l’ultima fidanzata del chitarrista e ultima persona a vederlo vivo, la quale, negli anni successivi, rilasciò diverse interviste contraddittorie in merito a quella notte.

Janis Joplin (fonte Wikipedia.org, autore Grossman Glotzer Management, foto nel pubblico dominio)

Poco più di due settimane dopo il decesso di Jimi Hendrix, il pomeriggio di domenica 4 ottobre 1970, Janis Joplin (1943 - 1970), una delle voci più sensazionali di tutti i tempi, doveva presentarsi negli studi della Sunset Sound di Hollywood per registrare la traccia vocale di una canzone che diventerà il suo epitaffio: Buried alive in the blues. Quando non la vide arrivare, il manager del suo gruppo, John Cooke, andò a cercarla al Landmark Motor Hotel dove Janis alloggiava dall’agosto. Appena arrivato, Cooke notò che la Porsche con la carrozzeria psichedelica dell’artista era ancora nel parcheggio. Il cattivo presagio che lo sfiorò si materializzò all’interno dell’albergo: riversa a terra nella sua stanza, Janis Joplin giaceva stroncata da un’overdose di eroina. Secondo Cooke, la rocker doveva essersi iniettata, inconscia del pericolo, una dose più potente del solito, così come sarebbe stato dimostrato dagli altri incidenti da overdose in cui incapparono diversi clienti riforniti dallo stesso spacciatore della Joplin.

Jim Morrison (fonte Wikipedia.org, autore Elektra Record, foto nel pubblico dominio)

Il 3 luglio 1971 a Parigi, James Douglas "Jim" Morrison, colto, figlio ribelle di una ricca famiglia borghese, pieno di velleità poetiche e rivoluzionarie, cantante e leader del gruppo rock dei Doors, si spegneva a ventisette anni in circostanze ancora oggi non chiarite. Il referto ufficiale parlò genericamente di arresto cardiaco, ma nessuna autopsia fu effettuata per individuare la causa esatta dello stop al cuore del Re Lucertola e del Dioniso del rock. In assenza di certezze, la teoria più diffusa dai media dell’epoca fu un’overdose da miscuglio di alcol ed eroina. La mancata autopsia (nonostante i sospetti sulla droga e vista l’identità e la giovane età del morto), alcuni dubbi sul luogo dove sarebbe avvenuto il decesso, i funerali svoltisi in gran segreto nel cimitero di Pére Lachaise, il fatto che tra gli abusi del cantante non fosse nota l’eroina: tutti questi elementi fecero sì che ben presto, tra i fan inconsolabili e i giornalisti in cerca di scoop, si spargesse la voce che il leader dei Doors non fosse affatto morto, bensì avesse architettato una complicata messinscena per potersi defilare dalle luci della ribalta. Tra avvistamenti e smentite, questa leggenda metropolitana è andata avanti fino ai giorni nostri e ancora il 4 luglio 2008, in un’intervista al Daily Mail, il tastierista ex Doors Ray Manzarek confessava di chiedersi spesso se “…la sua morte sia stata un’elaborata sciarada”.

Oltre ai quattro artisti, “il club” ne comprende molti altri. Vediamone solo alcuni, tra i più conosciuti.

Alan "Blind Owl" Christie Wilson (1943 – 1970) è stato il leader, cantante e compositore principale della band americana Canned Heat. Scrisse le canzoni più originali e fortunate della band, tra le quali On The Road Again e Going Up The Country. Morì per overdose di barbiturici secondo quanto riportato nella sua autopsia. Alcuni colleghi ipotizzarono che si tolse la vita, ma non ci furono prove a sostegno di questa tesi. Col suo gruppo prese parte a due dei più importanti festival degli anni Sessanta: Monterey Pop Festival nel 1967 e Woodstock nel 1969.

Ron “Pigpen” McKernan, tastierista dei Grateful Dead morì l’8 marzo 1973 a soli 27 anni, a causa di una cirrosi epatica. Nato alla metà degli anni Sessanta, il gruppo fu una pietra miliare della storia di quello che veniva chiamato acid rock o rock psichedelico. Divenne celebre per il suo stile eclettico che univa elementi di rock, folk, blues, country e jazz. I Grateful Dead nacquero a San Francisco nel ’65, città dove stavano emergendo artisti come Jefferson Airplane e Carlos Santana, che conferirono alla città la fama di capitale della controcultura hippie. Di questo ambiente i Grateful Dead divennero presto il gruppo di punta, forti anche dello straordinario livello tecnico di tutti i membri del gruppo. Nel 1969 i Dead parteciparono anch’essi al festival di Woodstock, ma la loro esibizione fu compromessa da un violento temporale e risultò deludente, tanto che il gruppo decise poi di non apparire né sul disco né nel film. Col finire del movimento hippie, iniziò a scemare anche il rock psichedelico, che ne seguì le sorti.

Gary Thain (1948 – 1975) è stato un bassista neozelandese, noto soprattutto per il suo lavoro con gli Uriah Heep e la band di Keef Hartley. Il suo stile era caratterizzato da fraseggi possenti, veloci e melodici che diedero nuova vita ai pezzi degli Uriah Heep, donando una ben più presente "spina dorsale" in buona parte dei loro lavori. Era già gravemente malato quando, l'8 dicembre 1975, la sua ragazza lo trovò morto per un’overdose di eroina nel bagno della sua casa.

Anche un artista italiano è entrato a far parte del club. Si tratta di Ringo De Palma, al secolo Luca De Benedittis (1963 – 1990) batterista che fece parte dei Litfiba e dei CCCP Fedeli alla linea. Grazie alla conoscenza del bassista Gianni Maroccolo e del cantante Piero Pelù, De Palma entrò nei Litfiba nel 1983. Con essi partecipò alla pubblicazione di tre album studio, tre album dal vivo più numerose tournée sia in Italia sia all'estero. Nel 1990 lasciò il gruppo ed entrò nei CCCP Fedeli alla linea. Dopo pochi mesi morì a Firenze per overdose di eroina. I Litfiba gli dedicheranno la canzone Il volo, contenuta nell' album El Diablo. La salma è stata cremata e l’urna riposta in un piccolo loculo senza fotografia nel cimitero di Firenze.


Kurt Cobain (foto nel pubblico dominio)
 
Kurt Cobain (1967 – 1994) era autore, voce e anima dei Nirvana, la band grunge di Seattle esplosa a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso. Di indole depressa e tossicodipendente, Cobain era sfuggito a un paio di overdose, l'ultima delle quali a Roma, un mese prima di morire.
Il 30 marzo 1994 il cantante si ricoverò all'Exodus Medical Center di Los Angeles per disintossicarsi, ma già nella notte tra il 1 e il 2 aprile lasciò di nascosto l'ospedale e tornò a Seattle, dove fece perdere le sue tracce. Sua moglie, Courtney Love, per rintracciarlo ingaggiò un investigatore privato. Non servì. L'8 aprile un elettricista rinvenne il corpo del cantante riverso a terra nel garage di casa Cobain sul lago Washington. L'autopsia accertò che la morte sarebbe avvenuta il giorno cinque per un colpo di fucile auto-inflitto alla testa. Un suicidio, dunque. Tra le ultime parole scritte dal cantante dei Nirvana nella lettera trovata accanto al suo cadavere venne citata la strofa, inequivocabile, di una vecchia canzone di Neil Young: It's better to burn out than to fade away, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.

Il 23 luglio 2011 la cantante Amy Winehouse è stata trovata morta nella sua casa di Camden Square a nord di Londra, in circostanze ancora tutte da chiarire. Aveva 27 anni.
Il suo album di debutto, Frank, venne pubblicato il 20 ottobre 2003. Fu prodotto con molte superficiali influenze jazz e, salvo due cover, ogni canzone fu scritta (anche se non interamente) dalla Winehouse. Il grande successo arrivò però quattro anni dopo, nel 2007, con l'uscita del secondo album Back to Black, che, trainato da un paio di singoli ben azzeccati, scalò le classifiche mondiali, ottenendo un successo che la portò alla vittoria di cinque Grammy Awards. Contemporaneamente, l'artista fece spesso parlare di sé per gravi problemi legati a droga, alcol e disordini alimentari che la portarono a ritardare la realizzazione del suo terzo album fino alla prematura morte. L’album uscì postumo.

Per gli amanti dell’occulto la parola casualità viene cancellata definitivamente dal vocabolario e per gli statistici la lista degli appartenenti al “Club 27”, lista che varia di fonte in fonte, si è ulteriormente incrementata negli ultimi anni. Vedasi Nicole Bogner.

Nel libro dei soci iscritti al club c’è un intero pezzo d’umanità. Umanità sfortunata? Forse.
Qualcuno parla ancora di una semplice bizzarria statistica, altri si rifanno alla casualità, molti gridano al trucco: volendo, dicono, possiamo trovare qualsiasi tipo di coincidenza strana, sia per la morte dei cantanti sia per quella degli attori, dei postini o dei piloti di Formula 1.

Le maledizioni non esistono, si è detto, però occorre fare attenzione: il “Club 27” è sempre aperto.

Beniamino Colnaghi

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