mercoledì 2 gennaio 2013

Vecchie storie di Milano: la Pusterla dei Fabbri

Le cinte murarie erette a protezione della città di Milano furono tre: la prima risalente all'epoca romana, sotto il principato di Ottaviano Augusto, che subì in seguito un ampliamento, la seconda medievale e l’ultima risalente all'epoca della dominazione spagnola.

Bonvesin de la Riva, magister, o doctor gramaticae, poeta, terziario dell'Ordine degli Umiliati nel volume "De magnalibus Mediolani" del 1288 scrive che Milano, Mediolanum, ebbe le prime mura alla fine della repubblica romana.
Le due strade principali che convergevano sulla Milano romana s'identificavano con il decumano massimo, dalla Porta Romana alla Porta Vercellina e il cardine massimo dalla Porta Ticinese. Con Massimiano Erculeo la città fu ampliata e difesa da una nuova cerchia di mura, a sud-est la cinta muraria si collegava al Circo e proseguiva verso il Carrobbio di Porta Ticinese e le vie S.Vito, dei Cornaggia, Paolo da Cannobio e via Delle Ore.
Nel 1338 Azzone ristrutturò le vecchie porte o posterle, rinforzandole e ponendovi un'immagine sacra di Madonna a difesa della città e costruì la seconda cinta di mura.
La terza cinta risale, invece, a Ferrante Gonzaga, governatore del Ducato di Milano, che ne decise la costruzione nel 1546 in nome di Filippo II di Spagna. Le mura di Ferrante Gonzaga furono un'opera esclusivamente militare, costruite come fortificazioni per proteggere la città, i borghi ed il terreno coltivato. Il circuito coincideva con quello del fossato del Redefossi, ove vennero confluite le acque del Seveso. Le porte di Milano sino al 1787 furono un semplice varco nelle fortificazioni, il ruolo era permettere il passaggio di persone e di merci in entrata ed uscita (con applicazione del dazio).


Le mura di Milano - Mappa del 1573
Per capire come dovevano essere le porte nelle nuove mura di Mediolanum possiamo prendere ad esempio la Porta Pretoria di Aosta o quella Palatina di Torino, di età augustea, poiché esisteva per volontà di questo imperatore una scuola di architetti-urbanisti che uniformava i modelli, come sotto qualsiasi regime totalitario. Le porte avevano spesso il nome della via su cui uscivano. A Mediolanum erano note la Porta Comasina per Como, la Romana in direzione per Roma, la Vercellina per Vercelli-Novara, la Ticinese per Ticinum (Pavia) e l’Argentea, o Orientale. Fa eccezione la porta sull’area dell’attuale Castello Sforzesco che si chiamò Giovia, tradizionalmente in onore di Diocleziano Giovio nel 286 d.C., ma esiste una lapide che cita un Collegium iumentariorum portae Vercellinae et Ioviae che può fornire un’indicazione per la datazione. Lo stesso discorso vale per la porta Erculea, in onore di Massimiano Erculeo, aperta sull’area dell’attuale Verziere in direzione di Lambrate. La porta mutò nuovamente nome alla fine del IV secolo, quando si aprì sulla strettoia derivata dalla costruzione dell’antemurale di Stilicone e si chiamò Tonsa, tagliata.

Milano - Porta Comasina
Di tutte e tre le cinte murarie rimangono solo poche tracce; le mura hanno subìto il medesimo destino di gran parte degli edifici storici di una città che ha avuto la peculiarità di continuare a distruggere le tracce del passato per ricostruirsi riutilizzandone i materiali.
Milano - Porta Romana in una foto dei primi del Novecento

Sempre secondo il Bonvesin de la Riva, oltre le mura e le porte principali, vi erano nove porte minori, forse dieci, comunemente dette pusterle: Pusterla di MonfortePorta Tosa, Pusterla Lodovica (già Pusterla di Sant'Eufemia), Pusterla della ChiusaPusterla dei FabbriPusterla di Sant'AmbrogioPusterla delle AzzePusterla Beatrice (già Pusterla di San Marco), Pusterla del Borgo Nuovo. Le pusterle erano piccole porte che si aprivano nelle mura della città. Infatti, secondo il Vocabolario Milanese-Italiano di Francesco Cherubini, pusterla è “una specie di seconda porta che per lo passato si usava quasi sempre tra la porta di via e il cortile delle nostre case, e invece della quale usa oggidì comunemente un cancello di ferro o di legno”.

Pusterla di Sant'Eufemia diventata poi Pusterla Lodovica

Le demolizioni o il rimaneggiamento delle mura, considerate ormai soltanto d'intralcio alla viabilità cittadina ed a disastrosi progetti urbanistici, iniziarono nella seconda metà dell’Ottocento e furono ultimate nell'immediato secondo dopoguerra.

In merito allo sciagurato e contestato abbattimento della Pusterla dei Fabbri, nelle principali biblioteche milanesi è catalogato un opuscoletto scritto da Luca Beltrami, Allegretti editore, anno 1900. Il suo contenuto narra lo sdegno dell’autore, prestigioso e autorevole architetto milanese del secolo scorso, circa la demolizione di quello che poté configurarsi come l’ultimo esemplare di varco fortificato ad un solo fòrnice. Il racconto di queste vicende, documentate da fotografie e da bei disegni, porta la seguente sarcastica lapide:

Ai consiglieri del Comune
Edoardo Banfi, Giuseppe Bardelli, Carlo Bozzi,
Alberto Castelbarco Albani, Luigi Conconi, Luigi Della Porta,
Francesco Lovati, Francesco Pugno
che soli si opposero
alla demolizione della Pusterla dei Fabbri
Il 6 marzo 1900

La Pusterla dei Fabbri era una delle porte minori poste sul tracciato medievale delle mura di Milano. Situata lungo la strada di San Simone, dal nome dell'omonimo oratorio, ora Teatro dell'Arsenale, sorgerebbe oggi al termine dell'attuale via Cesare Correnti. Nel corso della sua storia, assunse diverse denominazioni, a partire da quella di Fabia, ereditata da una precedente pusterla di epoca romana. Questa pusterla, dedicata in onore di Quinto Fabio Massimo detto il cunctator era da molti considerata già al tempo un'intitolazione ai sacerdoti Fabi, depositari del culto di Giove, che avevano il proprio tempio sulla successiva chiesa di San Vincenzo in Prato. Altri ancora, rifacendosi a un documento cartaceo del tempo, riconducevano il nome al fatto che la pusterla si sarebbe trovata ad cassinam quae dicuntur "de fabis". Un altro ancora, citato in un'iscrizione scoperta nella stessa chiesa, si rifaceva già al tempo ad un presunto vicus fabrorum. L'ultima attestazione della Pusterla dei Fabi si ebbe nel 1221 con denominazioni come Pusterla delle Fave o dei Favreghi. Solo successivamente avrebbe assunto la denominazione di Pusterla dei Fabbri, che avrebbe mantenuto fino alla sua demolizione, avvenuta, come detto, nel 1900. Quest'ultima si riferiva comunque a un tessuto sociale ben consolidato nel corso dei secoli nella zona, che si era via via popolata delle botteghe di molti fabbri ferrai, confinati lontano dall'abitato ai margini della città per la loro particolare rumorosa attività, che necessitava inoltre dell'acqua del Naviglio.
 
Pusterla dei Fabbri


La Pusterla dei Fabbri venne eretta nel corso del Trecento, in concomitanza con la realizzazione delle mura medievali. L'edificio si sviluppava su una sola arcata, sovrastata da una torre quadrangolare con la presenza di due varchi verso città e verso campagna. Senza particolari pregi la porta interna, di una certa imponenza e raffinatezza l’arco rivolto verso l’esterno.
 
Pusterla dei Fabbri
 Con la demolizione di un tratto di mura medievali adiacente, la Pusterla dei Fabbri rimasta intatta venne affiancata da diverse nuove abitazioni ricavate da edifici sorti a ridosso del Naviglio, che finirono per sovrastare la pusterla. Nel 1877 il Comune di Milano avanzò la proposta di un'eventuale demolizione della Pusterla dei Fabbri, nominò due apposite commissioni che analizzarono diversi rapporti e pareri. La sostanziale parità, tuttavia, fra i pareri negativi e favorevoli alla demolizione portò a una sostanziale immobilità della questione, che si protrasse per decenni. L’arch. Luca Beltrami non ci sta: nel mese di marzo del 1888 presenta un esposto alla Giunta di Milano, nel quale si sottolinea il valore storico-artistico del manufatto altomedievale, dimostrando che la costruzione antica non intralcia il nuovo tessuto viario in fase di progettazione e fa voto affinché l’arco venga mantenuto in loco “una volta liberato dalle costruzioni che lo han quasi soffocato”. Anche la Società Storica Lombarda spinse energicamente per la conservazione della vecchia pusterla, ritenendolo l'ultimo esempio delle nove o dieci pusterle che, nelle mura della Città, si interponevano alle sei porte maggiori. Un quotidiano cittadino arrivò a ironizzare sul guadagno in caso di demolizione, che ammontava a 10.000 lire, sostenendo, a quel punto, che conveniva proporre qualche pezzo del Duomo ai Musei della città di Londra, notoriamente interessati all'acquisto di simili antichità, e sempre pronti a generosi pagamenti.

Tuttavia a nulla valsero queste prese di posizione, anche autorevoli. Con furbi stratagemmi e pretestuose giustificazioni, del tipo “esigenze della nuova viabilità” e “attuali condizioni inopportune per la pubblica sicurezza e pulizia della località”, la commissione comunale si orientò verso la demolizione.

Siamo ormai alla vigilia elettorale per il rinnovo del Consiglio. La Giunta pone all’ordine del giorno d’una delle sue ultime sedute la proposta di demolizione della pusterla. Ma la votazione in Consiglio dà però esito a sorpresa, e la proposta di demolizione viene respinta. Le elezioni parziali del giugno 1899 portano in Comune il commissario, mentre quelle di dicembre vedono la vittoria di radicali, socialisti e repubblicani. Viene eletto sindaco Giuseppe Mussi. Gli aventi interesse alla costruzione speculativa sull’area della pusterla sono nel frattempo tornati alla carica con una petizione di comodo “coperta da numerose firme di abitanti del quartiere di Porta Genova” che chiedono “un giardino o una piazza, dando miglior vita e aspetto al posto”. La nuova Giunta, confortata da un’offerta di 10mila lire, rimette in votazione la pratica. Tutti votano per la demolizione della Pusterla dei Fabbri, salvo gli otto cui è dedicato l’opuscolo del Beltrami.

Gli interventi di demolizione della Pusterla dei Fabbri nel corso del 1900
 
La pusterla viene pertanto demolita nei mesi subito successivi, e il salvabile viene preservato e donato ai musei del Castello Sforzesco. Anticamente, sopra l'arco della Pusterla dei Fabbri, fra le inspiegabili lettere HAS a sinistra e TA a destra, era collocato il busto di un giovane, dalla testa turrita. Questa scultura, che si diceva romana, si riteneva comunemente che rappresentasse Imeneo, divinità greca protettrice delle nozze pagane. La tradizione del tempo voleva che gli sposi vi si recassero in corteo a rendergli omaggio, distribuendo dolci, mentre i bambini gridavano "Cica, Cica, Laminè! Laminè!", ossia, "a Porta Cicca, all’Imeneo"). Fu Carlo Borromeo a proibire questo rito pagano, che scomparve del tutto con la rimozione stessa del busto, verso la fine del XVII secolo.

In seguito alla demolizione della pusterla, la testa turrita di Imeneo, insieme alle lettere HAS e TA, finì alla Pinacoteca Ambrosiana. 
 
Beniamino Colnaghi

Nota: Le fotografie pubblicate sono nel pubblico domino in Italia e il termine di copyright è scaduto. 

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