mercoledì 27 giugno 2012

Racconto sulla vita contadina nel secolo scorso

Su mia richiesta, la sig.ra Livia Colnaghi, cugina di primo grado di mio padre, mi ha gentilmente concesso di pubblicare questo suo racconto. La ringrazio di cuore.

Scrivo una storia lontana nel tempo. Racconto come vivevano i contadini nel ‘900.

All’alba, prima che sorgesse il sole, i contadini si recavano in campagna a lavorare la terra.
Cercavano di rendere fertile il terreno, ma questo richiedeva molta fatica, si dovevano togliere le pietre che impedivano la coltivazione e spianare il più possibile il suolo per assicurare l’irrigazione e ottenere un buon raccolto. Dopo aver compiuto questo lavoro i contadini si sentivano più legati alla terra: uomo e natura erano segreti potenti.

A quell’epoca i contadini non avevano nessuna sicurezza sul lavoro e nemmeno informazione, perché finanziariamente non potevano comprare i giornali. Erano quindi costretti a seguire gli ordini del padrone della fattoria, con cui dividevano il guadagno quando veniva il tempo del raccolto.
I contadini gestivano le stalle con gli animali: alcune mucche, un cavallo, un asino e per chi aveva la possibilità economica anche un maiale, che in inverno veniva ucciso per ottenere salami e costine.
Il cavallo e l’asino servivano per trasportare il materiale della campagna: l’erba, il fieno, i rami di gelso e la legna per il camino, a quell’epoca non esisteva la stufa per riscaldare la casa.
Alla sera il capo famiglia e la massaia entravano nella stalla, davano da mangiare e da bere alle mucche, poi le mungevano e così ricavavano il prezioso latte che veniva usato per la colazione del mattino ed anche per la polenta della cena.
Le mucche di buona qualità rendevano molto latte, che la massaia utilizzava per fare il burro con la zangola.

Due contadini con la zangola
Tutto questo però non bastava per la famiglia, c’erano anche le galline che si nutrivano con il granoturco e che si lasciavano libere nella campagna a beccare nel terreno. Quando le galline facevano tante uova, la massaia le vendeva al “pulireù”, il commerciante di pollame che girava nei cortili del paese.

La bicicletta del pollivendolo esposta in un museo contadino
Nei mesi di luglio e agosto la massaia poneva al centro del cortile un mastello pieno d’acqua per essere scaldata al sole, alla sera dopo una giornata di lavoro il marito tornava dalla campagna e con quell’acqua, scaldata al sole, si lavava il viso e i piedi per togliere la stanchezza e lo sporco.
Al tempo opportuno i contadini dovevano mietere il grano, si preoccupavano del clima molto caldo, che poteva generare forti temporali e tempeste di grandine che potevano distruggere una parte del raccolto.

La massaia non era in possesso di soldi, quando doveva fare la spesa nei negozi alimentari non pagava, il negoziante apriva un libretto e scriveva la spesa che la massaia aveva acquistato e l‘importo dovuto.
Invece, per la frutta e la verdura la massaia si recava di buon mattino nell’orto, dove il marito aveva coltivato e seminato a perfezione.

Nel secolo scorso i contadini tracciavano il solco con la vanga e spesso dopo un duro lavoro così faticoso si sentivano così stanchi che cercavano di riposare sotto “un muròn”, un albero di gelso e si addormentavano. Quando poi si svegliavano pensavano di aver perso tempo.

Il gelso

A San Martino (11 novembre) si doveva pagare l’affitto al padrone delle case e delle terre, a volte il contadino non aveva abbastanza soldi, allora il padrone lo costringeva a pagare altrimenti poteva perdere la casa affittata.
Il primo giorno della settimana c’era sempre trambusto perché le massaie facevano il bucato, ponevano la biancheria sporca in un mastello e la coprivano con un panno bianco su cui posavano della cenere e un po’ di lisciva, poi rovesciavano sopra l’acqua calda e lasciavano tutto a bagno per parecchio tempo. Questo lavoro per le donne era molto faticoso anche perché la cenere e la lisciva rovinavano la pelle delle mani.

Al tramontar del sole i contadini tornavano dalla campagna e si preparavano per la cena che la moglie aveva cucinato: minestra, patate e fagioli con polenta.
Dopo aver cenato gli spettava il riposo e un dolce sonno, ma prima di dormire la moglie sgranava il rosario come voleva la tradizione familiare; solo al termine del rosario ci si faceva l’augurio della buona notte.

Nella camera da letto c’era un portacatino e una brocca con l’acqua che si usava alla mattina per lavarsi il viso. Nel secolo scorso, molte famiglie vivevano nelle cascine fuori paese, prive di acqua e di elettricità. Per la luce possedevano una lampada a petrolio, per l’acqua potabile avevano a disposizione un pozzo nei pressi della cascina. Invece, per abbeverare le bestie, nella campagna c’erano “i fopp”, gli stagni alimentati da acqua piovana, che servivano anche per annaffiare l’orto.

Donne al mercato

Dopo la guerra il tempo scorse veloce e arrivò il progresso.

I contadini fecero un accordo con il padrone di casa e terra per installare la luce e l’acqua, così cominciarono a vivere discretamente e civilmente.
Con il passare del tempo i figli dei contadini iniziarono a guardarsi intorno e ad abbandonare la campagna per la città, dove c’erano emancipazione, studio e lavoro.
I giovani avevano capito che c’era possibilità di studiare alle scuole serali per garantirsi un avvenire migliore. Era nata la vita moderna, poco per volta anche i contadini furono costretti a sottoporsi allo sviluppo tecnologico e con il tempo iniziarono a stare meglio.

Ricordo però in quell’epoca lontana, nel 1900, la vita semplice e modesta dei contadini che rendeva possibile il dialogo e lo scambio di idee in famiglia e tutti si rispettavano a vicenda.

Livia Colnaghi

sabato 23 giugno 2012

Boemia, Jan Hus e il movimento hussita.


Tra il VI e il VII secolo, diverse popolazioni slave si mossero dalla regione dell’Alta Vistola e dei Tatra verso sud, in parte al seguito degli Avari( o Ugri) in parte autonomamente.

Si stabilì così una continuità di insediamenti slavi dalla piana polacca fino all’Adriatico, al bacino del basso Danubio, alla stessa regione greca.

Le varie crisi succedutesi nei secoli permisero la costituzione di un potentato slavo, che ebbe il suo centro nelle terre attualmente occupate dalla regione slovacca e morava e che allargò in seguito la sua influenza verso la Boemia, la Piccola Polonia e il bacino del medio Danubio: esso è conosciuto dagli storici con il nome di Grande Moravia.
 
Per la conversione al cristianesimo di questi popoli si adoperarono simultaneamente Costantinopoli e Roma: grandi demiurghi dell’operazione furono i missionari Cirillo e Metodio, inviati dal patriarca di Costantinopoli con l’assenso del Papa, il quale approvò per non perdere potere su queste terre.

Nel X secolo arrivarono gli Ungari che ruppero la continuità degli insediamenti slavi, ponendo fine alla Grande Moravia. Gli Ungari non estesero però il loro potere su tutte le popolazioni slave; quelle poste più a occidente, nella regione di Praga, si riunirono sotto la guida di Venceslao che creò il potentato slavo di Boemia, Moravia, Piccola Polonia, Sassonia e Slesia che entrò subito in contatto con l’Impero Romano-Germanico, costituendo, tre secoli più tardi, il regno di Boemia.   


La statua di san Venceslao a Praga

La Boemia fu al centro di una vivace e produttiva attività economica, che fece aumentare il numero di artigiani e commercianti: le trasformazioni dell’agricoltura, le attività minerarie, e più tardi l’attività manifatturiera la resero una regione ricca e ciò ebbe ben presto un riscontro anche nella cultura del paese. Praga già nell’XI secolo si contraddistinse per essere costruita in pietra e non in legno, come altre città di Polonia e Ungheria. Inoltre, nei secoli successivi, la Boemia conobbe un forte sviluppo sia dell’architettura e della scultura romanica, sia di quella gotica.

Il momento culminante dello sviluppo della Boemia avvenne quando sul trono del regno arrivò la dinastia germanica dei Lussemburgo che, con Carlo IV, istituì la prima università dell’Europa centro-orientale (l’Università Carlo) e fece di Praga la capitale di fatto dell’Impero.

Tuttavia, in Boemia non mancarono ombre e contestazioni: l’alta nobiltà mal sopportò un potere centrale forte, la chiesa si tenne ben stretti gli immensi patrimoni composti da terre e immobili, i grandi impegni finanziari del papato romano si scaricarono anche sulla chiesa boema e questo suscitò un forte malcontento negli ambienti urbani e nella piccola nobiltà. Infine, il mondo contadino protestò energicamente a causa dell’aumento dei suoi oneri a favore della feudalità laica ed ecclesiastica.

Le tensioni trovarono sbocco agli inizi del secolo XV nella contestazione del ruolo della chiesa, sia sul piano sociale sia su quello religioso.

Jan Hus (1370 – 1415), rettore dell’Università di Praga, non si limitò ai suoi compiti istituzionali di docente, ma a partire dal 1402 svolse un’intensa attività di predicatore nella cappella di Betlemme a Praga, che poteva accogliere fino a 4000 fedeli. Nelle sue prediche contestò la ricchezza della chiesa e del clero ed i metodi per mezzo dei quali essa veniva perseguita, chiese il ritorno alle Sacre Scritture (tradusse la Bibbia in ceco), pose in discussione la dottrina e l’uso delle indulgenze, sostenne la parità tra clero e laici. Sono i temi affrontati nel suo trattato “Sulla Simonia”.

Jan Hus


Convocato al Concilio di Costanza vi difese le sue tesi, ma nonostante il salvacondotto imperiale, fu imprigionato e condannato al rogo. Fu bruciato vivo a Costanza il 6 luglio 1415. Furono bruciati anche scarpe e vestiti perché non potessero servire da reliquie, «caricarono tutte le ceneri su di un carro e le buttarono nel fiume Reno, che scorreva lì vicino».

La morte di Hus aprì una lunga stagione di guerre sanguinose che coinvolsero, oltre la Boemia, la Polonia e l’Ungheria, dove il movimento hussita cercò di penetrare. L’appello contro la chiesa di Roma trovò ascolto nei più diversi ceti sociali: nella nobiltà che si poteva impadronire dei beni ecclesiastici, nella borghesia cittadina che si voleva scrollare di dosso gli onerosi contributi alla chiesa, nel mondo contadino asservito nelle proprietà ecclesiastiche che erano le più estese del regno. Il movimento hussita si caratterizzò così come un movimento di riscossa nazionale ceca contro il centralismo romano. Si giunse così alla proclamazione di una Chiesa nazionale boema, che l’imperatore, Sigismondo IV Lussemburgo dovette riconoscere per poter essere accettato alla Dieta di Praga come re di Boemia.


Il monumento dedicato a Jan Hus in Piazza Vecchia a Praga


Il movimento hussita si spaccò già nei primi anni in due ali: quella moderata composta dai nobili e dai ceti benestanti urbani e quella formata dai contadini e dal ceto più umile, che videro nell’insegnamento della dottrina hussita la base per scuotere dalle fondamenta l’ordine feudale e per la nascita di una società comunistica: fu quest’ultima fazione dell’hussitismo quella più intransigente, nota come quella dei taboriti, dal nome della città fortificata di Tabor, costruita appunto dagli hussiti nel sud della Boemia.         

Contro i taboriti si scatenarono le forze feudali, i re boemi e dei vicini regni di Polonia e Ungheria, la stessa ala moderata dell’hussitismo. Nel 1452 i taboriti, ovunque perseguitati e condannati al rogo, persero anche la loro roccaforte. Senza ormai aspirazione di riforma sociale i superstiti confluirono in una specie di comunità cristiana parallela alla chiesa esistente, l’Unità dei fratelli boemi. 

Fu tuttavia una sconfitta parziale, per gli hussiti, perché circa un secolo dopo, aderirono, insieme all’ala più moderata del vecchio movimento, al luteranesimo, che penetrò in Boemia e Moravia grazie alla Riforma Protestante.

Beniamino Colnaghi

sabato 2 giugno 2012

Vennero “Gli Evasi”, e poi "I Cleptomani": i complessi musicali a Verderio.


Gli anni Sessanta del secolo scorso sono stati davvero straordinari e irripetibili, non solo e non tanto perché è avvenuto il “boom economico” ed è decollato lo sviluppo industriale dell’Italia, ma anche per l’entusiasmo, la voglia di fare, la passione civile che permeava il popolo italiano.

In quegli anni la società italiana cominciò ad aprirsi alle novità, cambiarono i rapporti in famiglia, i giovani conquistarono la ribalta sociale e le donne rivendicarono maggiore libertà di essere e di agire. Una trasformazione che investì tutta la società e produsse profondi cambiamenti politici, sociali e antropologici.


Anche a Verderio ci furono spiragli di apertura nei costumi e nei comportamenti individuali e collettivi, nonché accenni di modernità, soprattutto da parte delle giovani generazioni. Molti giovani cominciarono a seguire le tendenze ed i costumi in voga in quegli anni.

Per poter scrivere questo pezzo, la cui trattazione riguarda uno spaccato della storia e della cultura locale, mi sono rivolto a Doriano Riva, molto conosciuto per la sua lunga attività musicale, il quale mi ha fornito dettagli e aneddoti sull’esperienza che ha portato alcuni giovani dei due Verderio, animati da entusiasmo e sana incoscienza, a far nascere, nei mitici anni Sessanta, un gruppo musicale.

E’ una storia che merita di essere raccontata e conosciuta.

Luigi Villa, conosciuto come Gigi prestinée, nel 1964 aveva 17 anni. Era nato alla cascina Provvidenza di Verderio Superiore, meglio nota come casina dei Muleta ed era, fin da ragazzo, un tipo intraprendente e ricco di idee. Sulla scia impetuosa della nascita di migliaia di gruppi musicali, allora venivano chiamati “complessi”, al Gigi venne in mente di fondarne uno. Perché no? In ogni paese ce n’era uno e Verderio non poteva rimanere senza. Ne parlò con i suoi amici più cari, quelli della “compagnia”, tra cui Giancarlo, Chiarino, Raffaele, Doriano, Gianpiero, i quali si dimostrarono da subito entusiasti e accettarono la scommessa. C’erano però due ordini di problemi, tra l’altro non di poco conto: la mancanza di soldi per acquistare gli strumenti musicali e l’amplificazione e, soprattutto, il fatto che nessuno di loro, ad eccezione di Doriano, sapesse suonare uno strumento e conoscesse gli spartiti ed il pentagramma. Incredibile, ma vero.
Ma siamo negli anni ’60, la società è dinamica, in forte movimento, nulla è impossibile per dei ragazzini di 16 anni.  

Fu così che i cinque ragazzi ne parlarono con i loro genitori, i quali “lasciarono fare”, a patto che non chiedessero soldi in casa. La loro fortuna fu quella che tutti avessero un lavoro e, con qualche soldo messo da parte e con l’accensione di alcune cambiali, andarono a Milano, in un negozio dalle parti della Stazione Centrale, a comprarsi la strumentazione necessaria.
Il primo passo era compiuto, ora non rimaneva che imparare a suonare (sic!).
I ragazzi si trovarono periodicamente in un rustico, casòtt, della cascina Mùleta, di proprietà dei genitori di Gigi, che divenne la loro sala prove.

I mesi che intercorsero tra la fine del 1964 e la primavera del ’65 furono intensi e frenetici, soprattutto per Doriano, il quale dovette trasmettere ai suoi compagni i primi rudimenti della musica e insegnare loro a leggere gli spartiti e comporre gli accordi. In seguito alcuni di loro presero lezioni da un maestro di musica che a quel tempo abitava a Verderio Superiore, ma i ragazzini erano svegli e volenterosi, e impararono presto. I primi brani che impararono a suonare furono “Mare incantato”, pezzo del 1959, e “Maria Elena”, introdotti in Italia da due fratelli americani “Santo & Jonnny”. Brani lenti “terzinati”  di buon effetto per le balere, composti da note semplici e ritenuti di facile esecuzione. 

Venne scelto il nome del complesso, “Gli Evasi”, e la prima storica formazione fu pronta per   ”evadere” dal paese e affrontare il mondo aperto. Eccola:

Luigi Villa, Gigi prestinée, classe 1947, batteria;
Giancarlo Aldeghi, Pippo, classe 1948, chitarra di accompagnamento;
Chiarino Giancarlo Frigerio, Chiari, classe 1948, chitarra solista;
Raffaele Bonanomi, Faele, classe 1948, basso;
Doriano Riva, Balabio, classe 1950, tastiere, arrangiamenti, cantante. Il soprannome Balabio fu dato da Pupo perché, nel vecchio gergo dialettale, gli abitanti di Verderio Inferiore venivano apostrofati “Balabiòtt de Verdée de sott”.
Gianpiero Motta, Pupo, classe 1949, pubbliche relazioni.



1965: "Gli Evasi" suonano all'oratorio di Verderio Inferiore
"Chiari" in sala prove

Siamo nella primavera del 1965. I nostri ragazzi iniziano ad esibirsi di fronte al pubblico: negli oratori, nelle feste patronali e di partito, nelle balere della zona.
Ebbero l’accortezza di “mettersi nelle mani” di due mitici agenti musicali dell’epoca: Tony Spada di Merate, abile e intraprendente agente e manager, e Cecco Continental di Colnago, che organizzava diversi concorsi canori, fra i quali “Microfono d’oro” di Cornate d’Adda e “Asparago d’oro” che si svolgeva a Mezzago.

Essendo tutti minorenni, il trasporto dei musicisti e della strumentazione avveniva ad opera di due personaggi molto famosi nei due Verderio: Angelo Ricci di Verderio Inferiore, che possedeva un bar in piazza Annoni e svolgeva attività di autonoleggio, il quale trasportava i ragazzi con la sua Fiat 600 Multipla, e Giuseppe Ponzoni, Pepino Punson, di Verderio Superiore che produceva prodotti dolciari della tradizione locale.


Nell’estate del 1966 avvengono alcuni cambiamenti nel gruppo. Il primo riguarda Gigi, il batterista, che lascia il posto ad un giovane di Cornate d’Adda, Gianpiero Nava, detto Peo, esperto e affermato musicista; Gigi rimane comunque pietra miliare del sodalizio, svolgendo il ruolo di coordinatore ed eclettico ispiratore di iniziative. La seconda novità attiene il cambio del nome del complesso, che da quel momento si chiamerà “I Cleptomani”, mentre il terzo cambiamento è dato dal nuovo locale scelto per le prove. Il gruppo stava andando bene, le serate aumentavano, come pure erano in aumento i fans…soprattutto quelli di genere femminile, di conseguenza era necessario avere più spazio per le prove ed anche per le feste che il gruppo organizzava. Grazie all’interessamento del papà del Chiari, il gruppo ebbe in affitto due locali all’interno del “rustico”, l’ex Scatolificio Ambrosiano, detto “Pasaquindes”, di via dei Contadini Verderesi, che subito dopo la guerra subì un incendio e rimase inutilizzato e abbandonato per molti anni. Ai locali si accedeva dal prato, ora parco Peter Pan, attraverso una scala di pochi gradini in cemento che introduceva nella sala prove, mentre una ripida scala interna conduceva al primo piano ove era stato ricavato un locale adibito alle feste ed al relax. Le feste organizzate dal gruppo generarono chiacchiericcio e malumori in quella parte della popolazione più tradizionalista e bigotta, tanto che il parroco, don Giampiero, dovette intervenire dal pulpito della chiesa, denunciando la condotta libertina ed i costumi troppo disinvolti di alcune ragazze e ragazzi del paese.


"I Cleptomani" nel 1967. Da sinistra: Doriano, Pippo, Faele, Jonny. Alla batteria Peo.

L’estate del 1967 segnò una pagina importante nella storia del gruppo. Per alcuni mesi entrò a far parte del complesso un ragazzo siciliano, Jonny, che suonava divinamente la chitarra, tanto che venne accostato al mitico e indimenticabile Jimi Hendrix.

Jimi Hendrix a Woodstock

Gli amici di Verderio, per ricompensarlo, gli procurarono un lavoro a Bellusco e gli consentirono di dormire nel rustico. La nuova condizione eleva ulteriormente la qualità e le performance musicali del gruppo, le cui prestazioni erano richieste nei migliori concorsi canori della zona e nelle balere più in voga in quegli anni: Fontanella di Imbersago, il Circolo di Robbiate, il Canneto di Colnago e S.Zenone a Villa d’Adda. 

Alle esibizioni canore erano assiduamente presenti due ragazzi creativi ed eclettici, il Pupo e il Beretta, grandi amici dei componenti del complesso verderiese, tanto che trascorrevano il tempo tessendo fruttuose pubbliche relazioni a favore del gruppo, nonché facevano ballare le più “sfegatate” sostenitrici dei Cleptomani: Idelma, Elsa, Bruna, Vincenza ed altre ancora.

Da raccontare è l’evento che si tenne nel ’67 in occasione dello svolgimento del concorso “Asparago d’oro” presso il cinema Ponte di Mezzago. In quell’anno il complesso dei Dik Dik fu invitato come ospite d’onore al concorso. La giuria di gara eliminò i Cleptomani, ma il folto pubblico presente dissentì e cominciò a rumoreggiare, contestando la decisione della giuria ed acclamando il complesso di Verderio. Fu così che gli organizzatori, al fine di calmare gli animi, invitarono sul palco i nostri ragazzi che suonarono, increduli e inizialmente timorosi, con gli strumenti musicali dei Dik Dik. Durante la serata a Mezzago i DikDik  suonarono il famoso pezzo dei Procol Harum “A Whiter Shade of Pale”, tradotto poi da Mogol in italiano col titolo “Senza luce”, che fece conoscere il gruppo al grande pubblico.

Doriano mi ha raccontato che i Cleptomani ebbero il primo 45 giri del disco “A Whiter Shade of Pale” grazie ad un amico di Rino Galbusera che lo importò dalla Francia e furono così i primi in zona a suonare questo brano.    
 

I Dick Dick

Un’altra esperienza che il gruppo visse, che vale la pena ricordare, riguarda l’opportunità, fornita da Tony Spada, di accompagnare musicalmente, durante lo svolgimento di alcune serate, la cantante Emy Cesaroni, la quale balzò all’attenzione dell’opinione pubblica in quanto partecipò, sempre nel 1967, al varietà televisivo “Settevoci”, condotto da Pippo Baudo. 

Insomma, non si può certo dire che non si divertissero, i birboni. Anche nei momenti più critici, nei quali i più si fanno prendere dallo sconforto, i ragazzi del gruppo riescono a rivoltare la situazione a loro vantaggio, come in quell’occasione che dovevano suonare in una nota località turistica montana. Il pulmino, guidato dal fratello del loro agente, non passò a prenderli e così loro, senza scomporsi più di tanto, presero il treno e si diressero a Viserba di Rimini, bolgiastica località della costa adriatica, nella quale trascorsero tre giorni di mare, sole e puro divertimento, il tutto a spese della cassa del gruppo.

Verso la fine del 1967, nel gruppo avviene un nuovo e corposo avvicendamento; escono i tre ragazzi di Verderio Superiore, Pippo, Chiari e Faele, ed entrano due ragazzi di Cernusco sul Naviglio, Gigi e Massimo. Questi ultimi hanno studiato musica e sanno suonare molto bene. Ma il cambio non è traumatico, il gruppo è sempre coeso e tutti rimangono comunque buoni amici.

In occasione di un concorso riservato ai gruppi svoltosi a Cornate, i Cleptomani si presentarono con un bel brano dei Vanilla Fudge “You Keep Me Hangin'On”, classificandosi secondi. Anche in questo caso, come avvenuto qualche mese prima a Mezzago, il pubblico contestò la decisione, manifestando dissenso nei confronti della giuria che aveva premiato il gruppo “ I Vegetariani”.


Oltre alle solite serate nelle balere della zona, al nuovo gruppo venne offerta l’occasione di accompagnare musicalmente i “Ragazzi del Clan” che facevano riferimento ad Adriano Celentano.
Alla “Fontanella” di Imbersago suonarono con altri cantanti molto in voga in quegli anni, tra cui Franco IV e Franco I con la canzone “Ho scritto t'amo sulla sabbia” e Nico e i Gabbiani con “Guarda”.

Nel 1969 i Cleptomani si sciolgono a causa della chiamata a militare di due suoi componenti.
La decisione che venne assunta da parte di tutti fu di quelle che non lasciavano scampo: gli Evasi prima, ed i Cleptomani dopo, terminavano il loro viaggio e concludevano la loro esperienza, che per molti versi è stata intensa ed entusiasmante, ricca di prove, che è comunque servita ad introdurli, forse prima di altri, nel mondo degli adulti.

Nel 2001 i Cleptomani si sono ritrovati ed hanno suonato ancora insieme e nell'estate del 2003, dopo quasi 40 anni dalla fondazione, si sono esibiti al Centro Ricreativo di Verderio, aprendo la serata con il brano “A Whiter Shade of Pale”, dedicato all’amico Pupo. Lo spettacolo ha generato una forte e sentita emozione, perché ha ricordato a tutti i presenti il luogo dove, quei ragazzini di 15 e 16 anni, avevano mosso i loro primi passi.   

Come però avviene in molti aspetti della nostra vita, le narrazioni, anche quelle tra le più belle e intense, si chiudono, lasciando posto ad una scia di ricordi ed emozioni ma, soprattutto, consentendo ad altri di aprire nuove pagine e percorrere percorsi inediti.

Ringrazio Doriano Riva per la preziosa e cortese collaborazione.

Beniamino Colnaghi