mercoledì 15 febbraio 2012

Alessandro Catalano - La Boemia e la riconquista delle coscienze. Ernst Adalbert von Harrach e la Controriforma in Europa centrale (1620-1667).

Premessa di Adriano Prosperi, Edizioni di storia e letteratura.

Dopo la battaglia della Montagna bianca (1620) la Boemia, paese a maggioranza protestante, è stata sottoposta a un duro processo di ricattolicizzazione forzata, al punto da diventare in pochi decenni, soprattutto agli occhi dei viaggiatori occidentali, uno dei paesi più cattolici d’Europa. Benché si tratti di un processo drammatico che è stato accompagnato da violente polemiche (si pensi solo al trentennale conflitto sull’università praghese tra l’arcivescovo e la Compagnia di Gesù) la storiografia liberale del XIX secolo, che ha tabuizzato tutta l’età moderna della Boemia “cattolica” e “asburgica”, ha sempre descritto tutto il Seicento come un’epoca di immobilismo e oscurantismo. In realtà le tensioni all’interno del campo cattolico, pure senza mai sfociare in veri e propri conflitti, sono state invece di notevole intensità, così come del resto i contrasti tra potere temporale e potere secolare. Coordinata da un giovane vescovo che aveva studiato a lungo a Roma, Ernst Adalbert von Harrach (1598-1667), la Controriforma boema si presenta come un’eccellente cartina di tornasole non soltanto per ricostruire i meccanismi attraverso i quali la Chiesa si è riappriopriata dei propri fedeli, ma anche per valutare le strategie di propagazione della fede messe in atto dalla curia romana nel XVII secolo.
Lavorando a stretto contatto con la Congregazione di Propaganda Fide l’arcivescovo di Praga (poi anche cardinale) elaborerà infatti negli anni Venti un imponente progetto di riconquista delle coscienze che, pur restando in gran parte sulla carta, costituirà la base dell’azione della Chiesa cattolica in Boemia quasi fino alla fine del Settecento. Dopo l’euforia seguita alla vittoria sugli eserciti dei protestanti, la Chiesa boema sarà constretta a una dura lotta con il potere secolare per affermare la propria autorità ed è proprio nel corso di questi duri scontri che al servizio di Harrach si verranno a trovare alcune delle figure più originali del Seicento, in primo luogo Valeriano Magni e Juan Caramuel y Lobkowitz. Anche grazie alla loro presenza, la dialettica tra arcivescovo e gesuiti, alimentata dal duro confronto sull’istruzione che caratterizzerà tutto il suo vescovato, renderà in pochi anni Praga una delle città europee in cui più vivace è stato il dibattito culturale. Potendo inizialmente contare su un imponente sostegno politico alla corte imperiale (era ad esempio cognato del generalissimo Wallenstein) Harrach riuscirà a superare anche il grande momento di crisi del suo sistema di allenze attorno a metà degli anni Trenta e a restituire alla Chiesa boema un’immagine forte e indipendente rispetto al potere secolare.
Se gli scontri, i conflitti giurisdizionali e le mutevoli alleanze che hanno accompagnato la vittoria del fronte cattolico sono sempre rimasti al di fuori della ricerca storiografica, sono invece proprio la frattura tra la rappresentazione propagandistica della Chiesa cattolica e la sua prassi quotidiana (fenomeno particolarmente evidente nel rapporto tra istituzioni ecclesiastiche e secolari) e le feroci contrapposizioni che hanno avuto luogo al suo interno (sia nel rapporto tra vescovo e ordini religiosi, sia nella distanza tra la realtà e l'ideale stabilito dai decreti del Concilio di Trento) a essere al centro di questo libro. Il modello di Carlo Borromeo, le polemiche che hanno accompagnato l’arrivo degli scolopi in Europa centrale e le alterne fortune della Compagnia di Gesù segnano il ritmo di un’azione vescovile sempre ostacolata da “strane“ alleanze tra segmenti della chiesa e istituzioni secolari.

Essenziale per valutare obiettivamente il Seicento boemo è naturalmente il ritorno negli archivi che nascondono, e questo perfino nel caso di personalità così studiate come Wallenstein, ancora molte sorprese. Del resto se in qualunque contesto storiografico la regola fondamentale dello storico è che la storia si fa con i documenti, ancora più urgente diventa questo imperativo quando, per motivi diversi, le generazioni precedenti hanno rimosso dalla loro analisi interi segmenti del passato. La maggiore sorpresa che nascondono gli archivi di Praga, Roma e Vienna utilizzati in questo lavoro è che proprio un periodo, tradizionalmente considerato il simbolo dell’oscurantismo per eccellenza, nasconde invece molte chiavi per comprendere i meccanismi che hanno portato alla formazione degli stati moderni.

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